Siamo Adriano e Debora, i genitori del piccolo Daniel, scomparso prematuramente a causa di una rara malattia metabolica, neurodegenerativa lo scorso 22 gennaio 2015.
Vorremo far conoscere una parte della nostra vita, testimoniando la nostra esperienza di genitori di Daniel. Crediamo infatti che solo se si vivono concretamente e molto da vicino certe esperienze si possono capire e poi vorremo diffondere un messaggio d’amore: quell’amore incondizionato che solo chi è meno fortunato di noi può donare e il motivo che ci ha spinto a lanciare il nostro progetto di creare l’associazione Il sorriso di Daniel.
In questo mondo così crudele, credere ai miracoli è davvero difficile: ma per noi, vivere Daniel, è stato come vivere un miracolo.
Vivere Daniel attraverso le parole della mamma
Fin da quando ero piccola alla domanda cosa volessi fare da grande? Ho sempre risposto la mamma perché ho sempre avuto un particolare carisma con i bambini. Penso che oggi non potessi desiderare regali più belli: i miei due figli.
Io e Daniel avevamo un rapporto speciale. Mi definivo il suo avatar. Io ero per lui tutto ciò che materialmente non poteva fare. Se io ridevo lui rideva, se piangevo piangeva, se stavo male, si agitava. Insomma io per Daniel ero come un libro aperto e lui sapeva leggere le mie emozioni. Eravamo legati da un filo invisibile come se il cordone ombelicale quel 14 agosto 2010 quando è venuto al mondo non si fosse mai spezzato. Da quando è volato via Daniel ha dato un nuovo senso alla mia vita. Nonostante non possa negare che senta molto la sua mancanza: mi manca il suo profumo, imparagonabile e introvabile, mi mancano i suoi abbracci, la sua voce. Ora so che finalmente sta bene, che libero dal suo corpo ora la sua anima può volare, saltare, può essere finalmente l’angelo che da sempre e per sempre ci ha donato la forza e quella grinta per andare avanti e affrontare le grandi sfide della vita. E paradossalmente anche se con lui una parte di me è volata via, io non mi sento per niente in colpa, anzi sono serena, perché so che non avrei potuto fargli vivere vita migliore di questa.
Secondo i dottori un bambino, affetto da una malattia metabolica neurogenerativa, come quella di Canavan, molto invalidante, non potendo parlare, comunicare, camminare, nemmeno vedere avrebbe dovuto vivere come un “vegetale”. Invece noi lo abbiamo visto per la prima e ultima volta comportarsi così (e farci sentire davvero impotenti) solo nell’ultimo giorno e mezzo di vita in cui il suo equilibrio, quella lama sottile sulla quale stava la vita di Daniel, si è spezzato e la sua malattia si è rivelata nella sua massima crudeltà, che lo ha fatto addormentare per sempre mettendo fine a tutte le sue sofferenze. Sebbene sapevamo che la sua aspettativa di vita fosse breve ed eravamo coscienti che un giorno o l’altro Daniel non sarebbe stato più con noi la sua morte è stata un fulmine a ciel sereno: inaspettata e senza preavviso. Questo sicuramente ci ha disorientato all’inizio ma poi ci ha fatto capire cosa potevamo fare: metterci a servizio degli altri che come noi vivono o potranno vivere esperienze drammatiche come la nostra, cercare di essere un appoggio nel limite del possibile per tutte quelle famiglie che si trovano ad affrontare quotidianamente i problemi come quelli che abbiamo dovuto affrontare in questi quattro anni e mezzo. Perché spesso o per paura o per vergogna, o perché si ci sente abbandonati da tutti, dalle istituzioni, dagli amici, dalla famiglia. Ci si chiude nel dolore.
Noi siamo i primi a dover ringraziare chi ci è stato accanto, chi ci ha accompagnato in ospedale, al mare, in montagna, chi semplicemente con la sua presenza ha reso la nostra vita ma soprattutto quella di Daniel la più normale possibile. Senza il supporto, il conforto, l’aiuto materiale della famiglia e degli amici quelli veri quelli con l’A maiuscola, noi non ce l’avremmo mai potuta fare ad affrontare tutto così serenamente. Perché Daniel si è lasciato amare da tutti e da gran coccolone quale era, non desiderava altro che essere amato. Se voleva un bacio: lui apriva semplicemente la bocca per farci capire che voleva esser baciato.
E poi devo ringraziare Daniel che nel metterlo al mondo, nel vivergli accanto giorno dopo giorno, nel vederlo crescere difficoltà dopo difficoltà, ci ha fatto capire cosa vuol dire vivere, quali sono i valori veri della vita, cosa vuol dire amare incondizionatamente, soffrire insieme, gioire insieme. Tante sono state le difficoltà:
- dai momenti in cui essendo molto irrequieto, ignari ancora della malattia, piangeva come un disperato di dolore (spesso dalla disperazione per non riuscirlo a calmare piangevo con lui) e per cercare di placare il suo pianto lo dovevamo tenere in braccio per ore e ore e cullarlo; di notte fargli ascoltare la musica per farlo dormire tranquillo; trovare mille escamotage per non farlo piangere;
- da quando ti accorgi che in Daniel c’è qualcosa che non va e cominci a porti mille domande e inizi un calvario tra medici e ospedali per cercar di capire cosa abbia;
- quando ti comunicano, dopo numerose indagini, che Daniel ha una leucodistrofia e che questa malattia è incurabile;
- quando non riesci a fartene una ragione del perché Daniel deve essere alimentato artificialmente (prima tramite il sondino e poi attraverso la peg). Ma poi vedi dei miglioramenti in lui e capisci che è per il suo bene, per farlo vivere meglio, senza il rischio di inalare continuamente cibo che potrebbe essergli fatale se dovesse trasformarsi in un’infezione alle vie respiratorie.
- Quando nei giorni no vedi Daniel star male, ti senti distrutta per le numerose nottate e nonostante tu intanto sei diventato il suo pediatra, il suo infermiere, quello che riesce a capirlo sempre, ti senti impotente perché inconsciamente sai che è la malattia che si sta manifestando e tu non puoi combatterla.
Ma tante sono state le gioie:
- I suoi primi sorrisi che non volevi mai smettere di ascoltare perché magicamente lenivano tutti quei mesi di pianto inesauribile che avevano afflitto Daniel;
- I miglioramenti che giorno dopo giorno con l’aiuto della fisioterapia vedevamo in Daniel a discapito di ciò che i medici pensassero di lui: come il soffrire il solletico, o chiamare mamma, papà, zia, nonna con suoni diversi, il reggere il capo, la scomparsa dell’ipertono, l’emozionarsi di Daniel, il captare che oltre alla sua malattia, a quello che all’interno di lui lo sconvolgeva, c’era un mondo fuori da vivere.
- Alla nascita di suo fratello, l’altro tipo di amore che Daniel doveva provare che da quando è nato Elia, lo ha trasformato in meglio. Ora sapeva di non essere più solo aveva un altro bimbo con il quale giocare e che zuccherava le nostre e le sue giornate.
Quando una mamma porta in grembo un figlio, tutta la famiglia si anima di speranza, respira e progetta il proprio futuro, idealmente già si costruisce il domani: immagina di correre sulla spiaggia col proprio figlio, chissà se sarà biondo o castano, chissà se farà il medico o l’operaio. Ma la scoperta di una malattia nei propri figli, piccolissimi, interrompe questa gioia positiva di conoscere il futuro, anzi non vorresti proprio saperlo perché ormai la malattia ha spezzato i progetti, ha limitato il futuro, ha distrutto le aspettative e tradito i sogni. Molto spesso nell’animo di un genitore che scopre la malattia di un figlio si insinua la disperazione, la paura, lo sconforto e spesso tra le vie del dolore qualcosa muore, qualcuno cede, qualche sorriso appassisce. Ma nel tuo profondo sai che non puoi abbandonare tuo figlio a se stesso, non puoi permettere che il senso di colpa, il senso di impotenza ti logori, anche se da ora in poi vivi la tua vita giorno per giorno, tu hai bisogno di sperare che qualcuno riuscirà a trovare la cura per guarire tuo figlio.
Non è facile risollevarsi dal baratro in cui si cade quando sai che tuo figlio è condannato a morte e non può essere curato. Ti rendi conto che nemmeno piangersi addosso e disperarsi aiuterà tuo figlio a farlo stare meglio, ma peggiorerebbe solo la situazione. È vero ti senti impotente di fronte tuo figlio, ma se capisci e ti poni come tuo obiettivo: far vivere tuo figlio nelle migliori condizioni possibili perché speri che un giorno una cura sarà trovata, allora tu cominci ad affrontare la malattia, ad accettare tuo figlio per quello che è e a scoprirne la bellezza, la purezza d’animo e l’amore. Cominci a vedere tuo figlio con occhi diversi e a comportarti come ti saresti comportata se tuo figlio fosse stato sano, con l’unica differenza che essendo malato per lui sei davvero indispensabile. E paradossalmente cominci a vivere l’anormalità come normalità stupendoti di come sia invece anormale la normalità.
Questo percorso alla ricerca del benessere fisico e mentale per nostro figlio, ha preteso da parte nostra tante volte scelte molto coraggiose e rischiose ma piene d’amore.
E noi abbiamo riposto:
- La nostra speranza nell’incontro e nell’affidamento di tuo figlio al medico, all’infermiera o allo specialista di turno che poteva renderti conto di ciò che non andava in tuo figlio per aiutarlo a stare meglio;
- La nostra speranza c’è stata anche nella ricerca della strada migliore da segiure, dell’ambiente giusto, di un equilibrio stabile intorno al quale la vita di Daniel doveva girare per la sua serenità. Perché se Daniel stava bene, tutta la famiglia stava bene.
- La speranza era nel contatto che si alimentava con le carezze, i baci, i messaggi positivi che sussurravi a tuo figlio con la sola voce del cuore, rendendolo partecipe delle gioie e dolori della vita.
- La speranza di Daniel è stata soprattutto la fisioterapia, che bisognava cominciare al più presto perché sotto i nostri occhi abbiamo visto migliorare la qualità della vita di nostro figlio.
La strada della malattia guida tutti, malato e familiari, verso un cambiamento che investe anche anima e cuore. Questo cambiamento c’è stato in noi vivendo Daniel. Potremo continuare a parlare all’infinito di Daniel, perché tante sarebbero le esperienze da condividere: di quanto un suo bacio, un suo sorriso valessero più di mille baci, sorrisi dati da bimbi normali e di come solo dopo aver accettato la malattia di Daniel siamo riusciti a superare insieme qualsiasi difficoltà perché il nostro unico obiettivo da quel momento in poi era impegnarsi per far vivere bene e meglio Daniel. Perché “Quando curi una malattia può vincere o perdere. Quando ti prendi cura di una persona, vinci sempre” (Patch Adams).
La nascita del nostro progetto e la scelta del nome
C’è un aspetto della malattia dei bambini piccoli che resta ignoto, che rimane trascurato o poco affrontato: il sorriso. Il sorriso è comunemente considerato come un’idea opposta alla malattia, contraria alla sofferenza, antitetica al dolore e qualcuno lascia credere che un sorriso dinanzi alla disperata speranza della guarigione sia un’eccezione “improponibile”. Ebbene il sorriso di Daniel è stata la sua e la nostra medicina miracolosa.
Al di là della bravura dei medici, della speciale competenza delle strutture sanitarie, dei protocolli ospedalieri, ciò che sostiene un bambino malato è la forza della famiglia, la voglia di dare amore, la capacità di esprimere il bene e di combattere per esso anche tra iniezioni, tubicini, interventi medici e reparti di ospedale.
L’amore ed il sorriso non conoscono protocolli, non permettono di pianificare le azioni ma guidano l’istinto e legano alla vita, non si arrendono nemmeno dinnanzi all’evidenza o all’ostinazione della medicina.
Amare e sorridere dinnanzi alla malattia resta, però, una cosa complicata, richiede una vitalità, un’intelligenza e una forza superiori. L’amore ad ogni costo, espresso a confronto del dolore è un esempio di speranza che non solo può confortare ma addirittura può salvare.
Amore, amore che salva, lenisce, educa alla vita e guarisce: è questa la sintesi da cui vogliamo partire e quello che ci spinge a proporre oggi la nascita dell’associazione Il sorriso di Daniel per aiutare chi si trova o si è trovato nella stessa situazione a farlo sentire meno solo. Perché condividere un dolore può essere per tutti una speranza o un sostegno. In questo senso chiunque offrendo semplicemente un gesto di pura solidarietà sostiene l’amore e la vita. Di certo non potremo cambiare il mondo, ma tutti insieme, mano nella mano, giorno per giorno, potremo essere tante piccole gocce a formare il mare.
Daniel è stato per noi un bellissimo e meraviglioso dono ed ecco perché desideriamo che da questa nostra esperienza nasca un’associazione, che non potesse avere altro nome se non: Il sorriso di Daniel.
Quello stesso sorriso con il quale Daniel riusciva a comunicare con il mondo esterno, e che noi desideriamo donare agli altri.
Lo scopo principale di questa associazione è quindi quello di sostenere i bambini meno fortunati e le loro famiglie. Come? Vorremmo lavorarci insieme a chi come noi, crede in questi valori, pensa di poter dedicare un po’ del proprio tempo libero e può aiutarci a concretizzare la nostra iniziativa per costruire e delineare un percorso condiviso.
C’è un aspetto della malattia dei bambini piccoli che resta ignoto, che rimane trascurato o poco affrontato: il sorriso.
Il sorriso è comunemente considerato come un’idea opposta alla malattia, contraria alla sofferenza, antitetica al dolore e qualcuno lascia credere che un sorriso dinanzi alla disperata speranza della guarigione sia un’eccezione “improponibile”. Ebbene il sorriso è una medicina miracolosa, lo è al contrario ed a dispetto di quanto il costume sociale non “osi” pensare.
Comunemente quando nasce un bambino la mamma sa che il migliore pediatra del figlio è il genitore perché la madre attenta e partecipe alla crescita del figlio, sente e vive le emozioni, l’evoluzione, gli stati d’animo del figlio.
Questa idea popolare, che non fa altro che sottolineare l’intimo rapporto di dipendenza tra figlio e genitore, vale ancor di più quando il bambino è malato.
Al di là della bravura dei medici, della speciale competenza delle strutture sanitarie, dei protocolli ospedalieri, ciò che sostiene un bambino malato è la forza della famiglia, la voglia di dare amore, la capacità di esprimere il bene e di combattere per esso anche tra iniezioni, tubicini, interventi medici e reparti di ospedale.
L’amore ed il sorriso non conoscono protocolli, non permettono di pianificare le azioni ma guidano l’istinto e legano alla vita, non si arrendono nemmeno dinnanzi all’evidenza o all’ostinazione della medicina.
Amare e sorridere dinnanzi alla malattia resta, però, una cosa complicata, richiede una vitalità, un’intelligenza e una forza superiori. L’amore ad ogni costo, espresso a confronto del dolore è un esempio di speranza che non solo può confortare ma addirittura può salvare.
Amore, amore che salva, lenisce, educa alla vita e guarisce: è questa la sintesi da cui vogliamo partire e quello che ci spinge a creare un’associazione no profit per aiutare chi si trova o si è trovato nella stessa situazione a farlo sentire meno solo. Perché condividere un dolore può essere per tutti una speranza o un sostegno. In questo senso chiunque offrendo semplicemente un gesto di pura solidarietà sostiene l’amore e la vita. Di certo non potremo cambiare il mondo, ma tutti insieme, mano nella mano, giorno per giorno, potremo essere tante piccole gocce a formare il mare.